Del PROF. GIUSEPPE NERI
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Ricordo qualche tempo fa, quando tra le mani, mi trovai un libro di Gadda, ingegnere, prestato alla repubblica delle lettere e grande conoscitore dell’animo umano. Tra le righe scoprivo che un poeta può essere ingegnere e un ingegnere può benissimo essere un poeta. Raffaele Fameli mi ha consegnato un bellissimo testo “Phegeus, il cavallino bianco”, all’inizio ebbi lo stupore degli increduli letterati che sanno solo scavare tra le righe dei narratori pubblicati, e questa è la contraddizione della coscienza della nostra criticità. Allievo del mondo della tecnica, appassionato della nuova educazione informatica, Raffaele ha però scavato nel suo animo grandissimo e trovato una silloge davvero ampia e stupenda di avventure di un cavallino, umanizzato nei sentimenti del vivere, dotato quasi di ragione, splendida farfalla che uscita dalla crisalide, continua a ritenere di essere un miscuglio di animalità e spiritualità, nel mondo di luce dove si susseguono gli arcobaleni, dove i giorni sono accarezzati dalla luce del gran sole dell’universo che rende buoni questi piccoli innocenti animali misti ormai ai bambini, agli uomini, che dialogano con loro in un linguaggio mistilingue, ricco, bello, spontaneo. Io sono uno che deve leggere anche l’ultima pagina del testo che mi viene affidato, altrimenti non riesco a recensire gratuitamente il lavoro che costa sacrifici all’autore. Allora ecco “Phegeus”. Si legge nella prefazione al testo che “chi ha scritto questi racconti, ama profondamente il mondo tenero e indifeso dei bambini”, ma in realtà la difficile missione della letteratura è quella di farci sognare, alzare lo sguardo sui confini del mondo, ritrovare nella favola l’allegoria e l’utopia, il proprio oggetto di ricerca che stabilisce poi legami fra il pensiero e l’esistenza storica e sociale. Nel testo si ritrovano assieme ad una grande complessità delle relazioni umane e interumane, circoscritte su alcuni esempi scelti (l’acerrimo nemico di Phegeus, ZU, che aveva il figlio Pex), anche le meravigliose capacità di creare gli elementi della natura, “creare l’arcobaleno” (“se vuoi piccolo amico ti insegnerò a portare i colori dell’arcobaleno in tutto il mondo! Diventerai insieme a me il protettore dei piccoli umani”), che portano poi il nero e il bianco cavallino verso il cammino del sole, anche tra le distese di erba e di fiori. Poi la morte atroce di Pex, colpito per invidia dal duro zoccolo del padre e trasformato per amore da Zeus in una bellissima costellazione. Raffaele, nel testo sa dipingere le enigmatiche anime dei suoi personaggi, cieli, fiori, e rocce con lavoro di ripulitura letteraria, perché è un piccolo grande artista riuscendo a penetrare il mondo misterioso del mito, mostrando il tempo di vivere poi le nostre vite, i nostri dentro e fuori, quelle che chiamiamo storie, il barlume, la luce di ciò che ci è possibile immaginare. Bellissimi questi personaggi dei suoi racconti, colorati di scorrevolezza ed efficacia con l’adozione di toponimi che spingono il lettore ad una sana lettura (Giulio, scienziato che studia per portare sollievo ai suoi pazienti, “legato alle cose che solo gli occhi possono vedere”, Massimo, Cristina, l’incontro con l’Axia, quella capacità di capire il mondo circostante e di vedere oltre, la luce). L’Axia, dal greco “momento importante”, Sirio, sono poi domande esistenziali che si traducono in personaggi veri, strumenti consueti del narratore, fragili nel tempo drammatico, sono un tempo stesso in cui le coscienze si interrogano sulla prospettiva di agire, di restare nella bellezza della propria missione. Raffaele nel suo lungo raccontare disegna la bellezza e la luce, aumenta la portata della vita dei suoi piccoli personaggi, esprime emozioni, spiragli, mormorii, idee nella magnifica elegia che certo non si ingiallisce nel piccolo mondo antico (“Cavallino! Volevo farti una domanda… Come hai detto tu, i bambini devono essere protetti e sono forti, ma perché devono soffrire?”). Mondo di bambini, “misteriosa e bellissima terra”, “missione d’amore” (“bisogna vedere oltre e toccare il cielo come i bambini”), fatto anche di peregrinazioni, di espedienti, con la continua ricerca del dialogo nel lungo raccontare di Phegeus, sempre alla ricerca dell’innocenza, all’interno di una condizione esistenziale segnata dalla valenza dei valori tradizionali e di una grande voglia di spiritualità. Molta letteratura della Morante (“Il mondo salvato dai ragazzini”) mi ha ricordato Raffaele, ma i personaggi del racconto in Phegeus sono frammenti di un mondo che mette in gioco voci e memorie di una bella fabulistica che sa scoprire il senso della vita anche negli adulti. Un invito al lettore di confrontare le voci delle varie figure del racconto per avere chiaro il rapporto memoria-lettura-meditazione, mettere in gioco i grandi sentimenti del vivere che poi sono la costante dell’esistenza di Phegeus, il cavallino che sa andare oltre la vita dell’uomo, verso l’infinito, fiumana di luce, preciso e misterioso e che si traduce nei ritmi anche delle azioni dell’uomo, del dolore, delle radici della nostra civiltà. Cavallino non certo di creta, ma vivo, sullo sfondo della ricchezza memoriale del suo autore che ha saputo costruire una bellissima e innocente storia d’amore.
Giuseppe Neri