RAFFAELE FAMELI
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(I) L’amore generatore
Questa è la storia della mia vita. Forse non c’è nulla di eccezionale, o forse può essere comune alla storia di tante altre vite, ma questa è solo mia!
Mi presento subito! Mi chiamo Daniel. Ero una volpe. La mia storia incominciò quando mia madre e mio padre si conobbero in un bosco vicino alla città. Era estate, e il sole colpiva la terra facendola brulicare di vita.
Un richiamo! Solo un richiamo da parte della femmina! Molti maschi accorsero per accoppiarsi. Il mio futuro padre dovette lottare molto duramente con gli altri maschi per conquistare quella che sarebbe stata mia madre, volarono morsi e ringhiate sotto lo sguardo attento della mia futura mamma che voleva avere con se il più forte , ma alla fine mio papà ebbe il giusto premio. Era lui il più audace.
Fu tutto molto rapido e veloce! Solo un’alzata di coda da parte di mia mamma e fu fatto tutto. Ancora oggi non riesco a comprendere questo meraviglioso mistero. La vita mi è stata donata in un modo così semplice e gratuito ma nello stesso tempo così bello e piacevole. Si amarono molto i miei genitori! Non facevano altro che andare tutto il giorno insieme, come dei cuccioli si rincorrevano, cercavano il cibo e poi mia madre, portò nella tana il mio papà. Si sistemarono alla meglio per affrontare il buio della notte. Una notte che li doveva vedere insieme uniti.
Mia mamma, pretese subito dal mio papà che andasse a procurare il cibo. Già! Perché la femmina deve avere il supporto del maschio in tutto e per tutto; essa lo ricambiava con amorevoli leccate che facevano in modo che lui facesse tutto quello che essa voleva. Non era una costrizione! Papà faceva tutto questo per amore verso mamma. Non gli pesava affatto. Continuarono così per molti, molti giorni. Uno di questi, mamma, sentì avvicinarsi il momento fatidico. Il suo corpo snello da volpe stava lentamente, già da alcune settimane, ingrossandosi. Era la prima volta per lei! Ma l’istinto la guidava a compiere i passi giusti.
Mio papà, era sempre all’erta. Non lasciava avvicinarsi alla tana nessuno. Egli proteggeva mamma come se fosse la cosa più preziosa che possedeva; e a pensarci meglio lo era davvero. Quante volte, una volpe estranea tentò di introdursi nella tana! Mio padre, lottò con quanto fiato aveva in corpo. Doveva impedire ad ogni costo che la tranquillità della tana e della sua femmina fossero turbati. Ci sono persone che dicono che noi volpi preferiamo scappare, ma mia madre vide le zanne di mio padre luccicare al sole senza paura per difenderla.
Con le orecchie all’indietro, con fare minaccioso mio padre, mostrando a tutti gli invasori la sua temibile dentatura, ricacciò via gli sconosciuti. Un gesto che avrei fatto anch’io in seguito. Scappavano via come il vento! Avevano paura! L’istinto di conservazione della specie aveva la meglio.
Intanto, l’estate stava lentamente cedendo il passo all’autunno. Mia madre non poteva più cacciare. Si lamentava per dei dolori che non aveva mai conosciuto prima. Erano i dolori che dovevano portare alla luce me ed i miei fratellini. Portò questa sofferenza con baldanza, come se sapesse che fra pochi giorni sarebbe accaduto un miracolo. Noi animali non abbiamo il ragionamento come voi esseri umani! Ma riusciamo a comprendere gli eventi in modo semplice ed immediato, senza pregiudizi. I dolori aumentavano ogni giorno di più! Mio padre, andava e veniva dalla tana come se stesse soffrendo anche lui. I suoi istinti e così i suoi sensi erano totalmente votati alla protezione.
Era coraggioso mio padre! Non aveva paura di nulla! Mia madre non poteva più alzarsi sulle zampe come avrebbe voluto. Stava malissimo, ma anche in quello stato non disdegnava a dare a mio padre le leccate che per voi esseri umani sono come i baci. Semplici gesti d’amore! Ripetuti da milioni di generazioni prima di loro. Ci sono esseri umani che dicono che gli animali non hanno sentimenti. Bugia! Generalmente chi dice così è incapace di provarli lui stesso e se la prende, per questa grave mancanza con le creature semplici che invece li hanno e li sanno usare bene.
Mia madre adesso gemeva. Non permetteva più a mio padre di avvicinarsi. Capiva che stava accadendo in lei il miracolo, ma non sapeva ne come e ne quando. Le sue mammelle già cominciavano a produrre il nutrimento per noi, ma di questo essa non ne sapeva nulla. Semplicemente non si ricordava più di aver, anche lei mangiato quell’alimento così straordinario e nutriente dalla sua mamma.
Fuori dalla tana, mio padre annusava l’aria, forse in cerca di risposte. Capiva che stava per succedere qualcosa di meraviglioso e grande. Sentiva piangere mia mamma e se ne addolorava molto. I maschi non possono nemmeno immaginare quanto dolore si prova ad avere dei cuccioli, ma è un dolore presto dimenticato! Mio padre portava molto cibo da lui cacciato, ma mangiava solo il giusto! Il resto lo nascondeva per la sua femmina che ne avrebbe avuto bisogno.
Quella notte successe… mi ricordo solo calore! Un calore immenso. Non capii subito quello che era successo, e non capii neppure di non essere solo. Ricordo solo l’odore materno che si insinuava nelle narici. Piansi, ma non per dolore. L’aria mi era entrata per la prima volta nei polmoni. Tremavo! Avevo paura! Ricordo una lingua che mi leccava amorevolmente, togliendomi la placenta di cui ero ricoperto. Ero vivo. Non so come spiegarla quella sensazione! Una tenerezza indescrivibile mi assale al sol pensiero.
Ero ancora cieco. Non potevo vedere nulla! I miei occhi ancora erano chiusi, ma, mi accorsi di non essere il solo cucciolo ad essere venuto al mondo. C’erano altri cuccioletti come me, che avevano vissuto la stessa avventura. Sentii per la prima volta lo stimolo della fame. Una sensazione così potente che mi assalì e mi fece piangere di nuovo. La mamma, si girò su un fianco, ed io, come i miei fratellini (eravamo in cinque. Tre maschi e due femmine), per istinto andammo verso la fonte dell’odore materno.
(II) La prima lotta per la sopravvivenza
La mamma, stava ferma. Il suo istinto era quello di invitarci a mangiare. Per istinto, ci avvicinammo alle mammelle, e senza averlo mai imparato ci accalcammo per raggiungerle. Avevo bisogno di mangiare! Incominciai con le zampette a farmi largo tra i miei fratellini. Anche loro erano affamati e si spingevano con forza piangenti, ma pieni di vita.
Non tutti riuscimmo ad arrivare! Era la prima battaglia vinta solo da quattro di noi. La prima l’avevamo avuta per nascere, mentre quella era un’altra prova, forse una delle più dure e crudeli.
Per farmi largo, emisi il primo ringhio della mia vita. Non potevo permettermi di non arrivare alle mammelle! Mai ! Non volevo morire! Anche se, ancora non sapevo nulla della morte, sentivo comunque il terrore di non riuscire.
Come ho già detto, un mio fratellino, nato per ultimo, non ce la fece. Morì così, senza aver ancora aperto gli occhi sul mondo. Noi non ci accorgemmo neppure della sua morte.
Eravamo attaccati alle mammelle. Eravamo riusciti a vincere la prima lotta che la vita ci aveva proposto. Succhiavamo il latte con gioia! Nostra madre ci leccava energicamente, come per sentirci parte di lei e soprattutto vivi. Adesso eravamo pronti a dormire… già… un sonno ristoratore dopo la prima battaglia.
Entrammo così in un sonno tranquillo, accompagnato solo dalle leccate di nostra madre. Era così bello che ci dimenticammo della fame avuta. Tutto intorno sembrava soffice e protettivo. Niente e nessuno avrebbe osato farci del male! Eravamo protetti.
Nostro padre era ancora fuori. Tentò di entrare nella tana, ma nostra madre, per istinto materno, lo ricacciò fuori ringhiando energicamente. Istintivamente doveva difenderci anche da lui. Naturalmente papà non capì ma sentiva che per un po’ avrebbe dovuto allontanarsi dalla tana rispettando quella quiete angelica che vi regnava. Così prese di nuovo a cacciare.
Venne il giorno, ma noi ancora non lo vedemmo. Nostra madre ci accudì per circa cinque giorni di seguito e ogni tanto si allontanava per mangiare il cibo prezioso catturato da nostro padre.
Quando si allontanava, io e i miei fratellini ne sentivamo subito la mancanza. Piangevamo disperatamente. Lei era parte integrante di noi. Non sentire il suo odore era terribile. Poi, si avvicinava subito dopo e a quel punto potevamo ancora godere della vita, che per i cuccioli era rappresentata esclusivamente da quell’essere caldo, morbido e protettore che è la mamma, la quale ci nutriva ancora dal suo corpo come aveva fatto quando le eravamo ancora dentro.
Una mia sorella morì. Non so il motivo. Probabilmente non aveva mangiato a sufficienza. Noi, non ci accorgemmo nemmeno di questo, ma sentimmo con le nostre piccole orecchie il pianto della mamma. Si era accorta e soffriva molto.
Passarono due settimane circa. Io sono stato il primo a vedere la luce. La luce entrava nella tana da una delle entrate. Ero attratto da quella luminosità in modo incredibile. Avrei voluto andare al di là di quella luce, ma la mamma me lo proibiva energicamente. Vidi così per la prima volta il corpo di chi mi aveva dato la vita. Era enorme! Quella sua enormità mi dava comunque sicurezza e calma. Notai subito l’enorme coda, con la quale incominciai subito a giocare. Mamma di questo ne godeva. Sembrava essere contenta della mia vitalità così fresca e genuina.
Vidi anche i miei fratellini. Erano due piccoli batuffoli. Cominciai a giocare con loro, anche perché avevano anche loro da poco aperto gli occhi, e come me stavano cominciando ad osservare il mondo che per noi, ancora, era solo la tana.
Io fui il primo ad avventurarmi verso la luce. Vi andai con paura perché la mamma sempre me lo impediva ringhiando e cacciandomi via con la zampa, ma quella volta non lo fece. Era arrivato il momento di uscire e di vivere un’altra avventura.
Si limitò solo a guardare. Per istinto sapeva che il periodo che dovevamo restare nella tana si era concluso. Vidi quella luce immensa che mi chiamava, ma mi girai ancora verso la buia tana, dove i miei fratellini e mia madre guardavano con apprensione la mia prima prodezza.
Mi venne paura. Cosa mi sarebbe aspettato una volta fuori? Cosa avrei incontrato? Mi ritornò la stessa paura che provai quando pensai di non raggiungere le mammelle. Era la paura dell’ignoto, ma istintivamente sentivo che dovevo affrontare quella nuova prova.
I miei fratelli mi seguirono. Non pensai… agì e basta. Attraversai la luce. I miei piccoli occhi si dovettero abituare a quella luce immensa. Mettendo a fuoco le immagini mi trovai in uno spazio che per me era sconfinato. Vidi per la prima volta il papà. Assomigliava alla mamma. Mi avvicinai un po’ timoroso ma con molta curiosità.
Il papà quando mi vide mi venne incontro. Era incredulo. Si vedeva molto bene che non era pronto per una simile sorpresa. Mi accostai a lui e lo odorai. Il suo odore era diverso da quello della mamma ma dava sempre quella protezione di cui avevo bisogno.
Mi leccò anche lui! Era magnifico! Avevo due esseri che mi volevano bene e che mi avrebbero protetto. Fecero così anche gli altri fratellini. Nostro padre ci leccò e ci considerò suoi. La mamma era uscita anche lei dalla tana, e quando vide la scena sembrò rasserenarsi. Nostro padre ci amava e avrebbe dato la sua vita per proteggerci. L’istinto paterno ebbe la meglio.
Gettai un piccolo urlo, e così fecero anche gli altri due cuccioli. Era il grido della vita e della libertà. Eravamo riusciti a sopravvivere alla prima fase della nostra esistenza sulla terra.
(V) Basta latte! Ora carne!
Ci lasciava anche da soli per andare a cacciare. Noi l’aspettavamo con il cuore in gola. Se ritardava più del dovuto ci mettevamo a piangere. In queste occasioni, il nostro istinto era quello di ritornare nella tana.
Un giorno, lei si accucciò vicino a noi. Cercammo di avvicinarci per prendere il latte da lei, ma… ci ringhiò contro. Io che ero il più audace mi avvicinai alle mammelle, ma essa per la prima volta mi mordicchiò sul collo facendomi male, ringhiando. Cosa le era successo? Perché, la creatura che ci doveva nutrire ora si rifiutava di darci il suo latte? Dovevamo essere svezzati ma questo non lo sapevamo. Per istinto. Solo per istinto lei ci stava dando la prima delusione.
Cominciammo a piangere a più non posso. Oramai era tutto chiaro! Non avremmo mai più bevuto quel liquido formidabile che ci nutriva così bene da farci diventare sani e forti. Con cosa, dunque, ci potevamo nutrire? Ci avrebbe fatto morire di fame? No! Si alzò, e rigurgitò a terra dei pezzettini di carne già masticata. Agli occhi degli esseri umani, questo potrebbe fare ribrezzo ma per noi fu la salvezza.
Ci avvicinò con il muso su quella carne. Noi non capimmo subito. Lei allora con molta dolcezza, emettendo un verso amorevole ci avvicinava a quella carne. Fu la sorellina a provarla per prima. Mangiò quella carne sotto lo sguardo attento di nostra madre. Sembrava piacerle molto. Però dopo aver mangiato e cominciato a masticare con i dentini che presto sarebbero divenuti zanne, volle riprovare ad attaccarsi alle mammelle. Mamma ringhiò forte! Questo ci fece molta impressione. L’età del latte era finita! Noi eravamo carnivori, e come tali dovevamo mangiare carne per sopravvivere.
Seguimmo anche noi il suo esempio. Io e mio fratello ci avvicinammo e cominciammo a masticare. Devo dire che non era per niente male! Il sapore della carne ci piaceva. Dimenticammo il latte.
(VI) Le prime visite per il mondo
Le nostre giornate passavano veloci, tra giochi, lotte e con nostra madre che ci
tirava su per la sacca di pelle che avevamo sul collo per portarci nella tana. Talvolta le lotte diventavano un po’ troppo cruente, e lei ci doveva staccare a suon di ringhiate e morsetti. Ma il mondo era più vasto di quell’ambiente dove eravamo nati. C’erano molte cose da vedere e da scoprire. Il mondo ci chiamava a se con dei richiami irresistibili. Dovevamo andare. Nostra madre, quando ci giudicò pronti partì per una solita battuta di caccia. Ma non fu come le altre volte! Ci volle con se!
Con dei richiami continui ci proponeva di seguirla. Noi, la seguimmo istintivamente. Sapevamo infatti che ci sarebbe stata per noi un’altra avventura meravigliosa. Partimmo con lei in testa. Era così bello guardare in giro per scoprire tutte le meraviglie del mondo. Ora, un torrente d’acqua dove potersi dissetare, ora uno scoiattolo che saltellava tra un ramo ed un altro (una nostra vittima futura).
Siamo stati costretti ad imparare nuove cose. Ad esempio che esistono altri esseri a parte noi. Nostra madre ci faceva da guida in quel mondo che lei conosceva alla perfezione. Noi ancora eravamo troppo piccoli per capire i pericoli. Non li sentivamo! Avevamo bisogno ancora di protezione; una protezione che solo lei, ancora, ci poteva dare.
Andammo avanti per il mondo. Era bello poter respirare l’aria pulita della campagna e mettere le zampette dentro le pozzanghere. Tuttavia non sapevamo ancora cosa il mondo era capace di proporci. Non avevamo ancora l’idea dei pericoli imminenti.
(VII) Cacciare per sopravvivere
Cacciava per noi, piccoli topolini indifesi che noi dovevamo finire. Alle prime esperienze ci giocavamo solamente (con grande terrore del topo), ma alla fine faceva la fine a cui era destinato: essere divorato da tre piccole volpi che dovevano crescere ed imparare. Scoprimmo che il sapore del sangue ci piaceva molto e soprattutto la carne viva. Come per incanto dimenticammo il rigurgito di nostra madre.
La vita trascorreva felice. Nostra madre era sempre premurosa ma non più come una volta. Ce ne accorgemmo. Non giocava più con noi, non ci offriva più la sua coda come giocattolo; ora avevamo giocattoli vivi da prendere. Si trattava dei topolini oppure degli scoiattoli che essa ci portava ancora vivi. Dovevamo imparare ad uccidere per poter sopravvivere. Facevamo agguati, salti di ogni genere. Questa è un’altra legge terribile della natura che noi dovevamo seguire.
Dovemmo imparare che per vivere, un’altra creatura doveva morire. Nostra madre ci insegnò passo dopo passo ad uccidere, cosa che noi abbiamo imparato a fare come per gioco. Non pensavamo di certo di fare una brutta azione! Per noi era questione di sopravvivenza.
Sviluppammo così i nostri sensi sempre meglio. L’udito, già ben sviluppato per natura divenne finissimo, l’olfatto ancora meglio, e la vista… beh! Riuscivamo a vedere persino al buio. Diventammo macchine per la caccia, grazie all’istinto predatorio e soprattutto a nostra madre che era un’abilissima cacciatrice.
(VIII) I primi nemici
Non eravamo comunque esenti dai rischi! Questo nostra madre lo sapeva molto
bene, tanto che non ci fece mai correre rischi inutili. Quando pensava che c’era qualche pericolo in agguato, ci portava al sicuro.
Una volta, un’aquila reale mi minacciò in modo serio. Non avevo mai visto una creatura come quella! Da cacciatore divenni preda. Mia madre se ne accorse subito e scacciò via l’uccello. Fu per me una scoperta incredibile! Pensavo fosse la fine. Mi aveva agguantato con le unghie. Mi fece male. Non avevo mai provato fino ad allora uno spavento così grande. Sanguinavo.
Mamma, mi leccò per un giorno intero. Piangeva! Mi resi conto di stare molto male, ero addirittura in fin di vita, ma grazie alle sue cure riuscì a superare anche questo. Imparai che esistono altri animali capaci di farci del male e perfino ucciderci, proprio come noi facevamo con i topolini.
Anche i miei fratellini ebbero delle situazioni simili, ma, riuscirono a salvarsi. Era davvero terribile quello che ci era capitato, ma, faceva parte del gioco della vita e della sopravvivenza. Non avevamo incontrato ancora il più temibile dei predatori… l’uomo.
(IX) Addio mamma
Nostra mamma cercò sempre di proteggerci fino all’ultimo spiegandoci cosa
era giusto e cosa non lo era, cosa era pericoloso e cosa potevamo fare senza problemi. Di questo non potevamo che essergliene grati. Anche senza saperlo ci insegnò a vivere. Passarono così altri giorni e settimane. Oramai eravamo diventati autosufficienti, insomma adulti. Adesso dovevamo cavarcela da soli.
Nostra madre cacciò dalla tana sia mio fratello che me, mentre nostra sorella poté restare ancora. Soffrimmo per questo! Ci ringhiò contro in maniera brusca. Il nostro corpo, da un batuffolo di pelo rosso si era trasformato come quello di nostra madre e nostro padre.
Andammo via dalla tana. Di mia sorella non seppi più niente. Ogni tanto andavamo a trovare nostra madre, ma essa non ci riconosceva più. Oramai il tempo che doveva passare con noi era terminato. Nel frattempo aveva avuto un’altra cucciolata.
Soffrimmo a vedere che quei cuccioli erano accuditi proprio come noi un tempo, ma andammo via. Una sera al calar del sole, udimmo diversi spari. Ci spaventammo e accorremmo. Nostra madre fu uccisa da un cacciatore. L’uomo aveva fatto un’altra vittima. Piangemmo come non avevamo mai fatto. Una parte di noi se ne era andata per sempre, mentre nostro padre scomparve. Forse si cercò una nuova compagna.
(X) Fratellino cosa ti hanno fatto?
Ormai eravamo soli! Dovevamo cavarcela da noi! Se non fosse stato per nostra
mamma non saremmo mai riusciti a cavarcela. Da cinque, eravamo rimasti in due. Purtroppo la selezione naturale è spietata. Quello che è peggio è che abbiamo dovuto cacciare da soli.
Gli esseri umani, credono che gli animali non si sentano mai infelici e soli. Questa è un’altra bugia. Ci sentivamo soli ed abbandonati. Cominciammo ad andare io e mio fratello per strade differenti. Se non fosse stato per quella automobile, mio fratello sarebbe stato felice, invece….
Una notte stavo cacciando, quando ad un tratto udì una frenata brusca e un lamento acuto. Corsi subito a vedere! Forse ero diverso dalle altre volpi, ma quel lamento mi richiamò come un legame di vita. Vidi quello che restava di mio fratello. Purtroppo, un’automobile lo colse in pieno ventre. Restò abbagliato, questo è certo! Come fu per nostra madre piansi. Ero rimasto solo al mondo.
Perché gli uomini erano così crudeli? Forse questa domanda non me la feci, anche perché non sapevo chi fosse stato a compiere quell’atto oppure perché noi animali non siamo soliti a ragionare su tutto quello che succede. Per noi non esiste il futuro ma solo il presente ed il passato.
Ricordavo! Questo ve lo posso assicurare! Ricordavo tutto quello che avevamo fatto insieme! Quanto era bello quando eravamo cuccioli… ora…. Non avevo più nessuno! Forse questo è il destino delle volpi! Restare da soli.
Dissi addio a mio fratello con un gemito acuto, e poi me ne andai. Avevo bisogno di mangiare.
(XI) La storia della vita si ripete
Crebbi, dunque da solo! Era arrivato il momento di reagire. Non dimenticai
mai le mie origini. Sapevo di essere una volpe, ma sapevo pure che per non morire dovevo darmi da fare. Andai in giro per notti e notti, seguendo tutti gli insegnamenti ricevuti. Avevo preso alla lettera le leggi della natura. Cacciavo si, ma solo per bisogno, senza crudeltà.
Ero adulto ora! Sentivo in me qualcosa che stava cambiando. I dentini di una volta erano divenuti zanne. Ora combattevo per la vita. Non potevo lasciarmi andare, decisi di cercarmi un territorio tutto mio.
Trovai un territorio adatto alle mie esigenze. Dovetti lottare per ottenerlo con altre volpi. Dopo una miriade di fallimenti alla fine ci riuscii. L’istinto di conservazione della specie mi fece lottare all’ultimo sangue.
Finalmente avevo trovato una tana ed un territorio ricco di prede. C’erano anche nemici naturali, ma io con la forza acquisita dall’istinto più quello che avevo imparato riuscii lo stesso a cavarmela.
Sentii un richiamo. Era una femmina. Non so cosa mi accadde ma l’istinto mi guidò, come mio padre prima di me, ad andare da lei. Dovetti lottare con altri maschi, alla fine la femmina fu mia. Mi accoppiai senza aver mai imparato da nessuno. Per me era stata una cosa naturale. Trovai una tana per me e per lei e ci sistemammo dentro.
Dopo alcune settimane, la mia compagna gemeva. Il seme della vita stava dando i suoi bellissimi frutti. Come mio padre prima di me, annusai l’aria . Capivo che stava per accadere un miracolo. Andai a cacciare per lei, prendendo per me solo lo stretto necessario.
Aspettavo un miracolo che puntualmente ci fu. Cinque bellissimi cuccioli erano venuti al mondo, proprio come era stato per me e i miei fratellini. Leccai quelle creature e giurai a me stesso di proteggerle anche al costo della mia vita. Loro dovevano vivere!
Il ciclo meraviglioso della natura si compii un’altra volta senza che nessuno se ne accorgesse! Certo! Diventarono grandi, forse avranno avuto più fortuna di me, ma a me interessava ora solo il loro bene e quello della mia compagna.
Io morii dopo due anni! Quanto tempo è passato! Adesso sono un essere umano, ed ho il privilegio di raccontare a voi questa storia, che è la mia storia. Una storia qualunque che si ripete da milioni di anni e si ripeterà per sempre.
Spero che questa storia vi abbia fatto del bene! A me ha fatto molto bene raccontarla a chi sa ascoltare la voce di creature semplici e libere che vogliono solo vivere.
DANIEL