UOMINI PER DUE GIORNI

LA PROFEZIA DEL TASSO

RAFFAELE FAMELI

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UOMINI PER DUE GIORNI (LA PROFEZIA DEL TASSO)     Raffaele Fameli

 

Ecco che arriva la notte. Per gli animali notturni come sono io, essa rappresenta l’occasione per sfamarsi e per fare incontri con altre creature che possono essere, a secondo dei casi, predatori oppure prede.

In questa oscurità, la sopravvivenza diventa veramente difficile e chi non è in grado di cacciare oppure rubare agli uomini, viene letteralmente cancellato dalla vita. Questo l’ho capito a mie spese essendo stato molte volte sul punto di morire per mano loro. Mi presento: sono una volpe, animale molto comune nelle vostre latitudini.

Come ho già detto, nell’ora crepuscolare si va a cacciare per sopravvivere. Io feci così quella sera ma non potevo di certo immaginare quello che sarebbe successo in seguito. Ero una volpe giovane! Non mi ricordavo molto di mia madre. Sapevo solo che mi salvai, facendo finta di essere morto, quando ero ancora un cuccioletto, dagli spari di un contadino. Da quella notte non la rividi più! Almeno non come me la ricordavo.

Una cosa comunque riuscivo a capire. Ero un predatore e per cui, dopo il riposo pomeridiano, e dopo essermi sgranchito le zampe mi apprestai ad uscire dalla tana.

Avevo imparato da mia madre ad aggirarmi furtivamente vicino alle case degli uomini.  Già! Voi buttate via un sacco di roba buona da mangiare e davvero non riuscivo a comprendere il motivo di tanto spreco. Vi invidiavo uomini! Vi invidiavo per tutto quello che fate ed avete! Pensavo tra me e me che probabilmente non lo apprezzate e vi consideravo degli sciocchi! Per voi era tutto facile, mentre per noi, povere creature selvatiche, era tutto tremendamente difficile e pericoloso. Volevo essere uno di voi! Così, almeno la pensavo prima della mia avventura…

 

In lontananza, tra i folti alberi, vidi una casa con le finestre illuminate. M’apprestai ad avvicinarmi di più vicino a quella recinzione metallica che, superandola mi avrebbe dato l’accesso ad un bel pollaio ricco di prede che io conoscevo bene. Proprio in quel pollaio, infatti, avrebbe potuto chiudersi la mia vita quando ero cucciolo.

Quella sera non avevo voglia di rifiuti, volevo carne, carne viva!

Accingendomi al mio solito posticino mi voltai verso il granaio dove potevo contemplare in pace il pollaio già visitato molte altre volte. Stetti in guardia. Sapevo che in quel posto non c’erano cani, ma il fucile del fattore era sempre in agguato. Quella sera c’era qualcosa che non tornava. Troppo silenzio per i miei gusti e non mi piaceva per niente. Sembrava che qualcosa di terribile incombesse su quella quiete.

Col musetto per aria cercai di decifrare quello che mi stava intorno. Con mia sorpresa annusai qualcosa di inedito. Non riuscivo però a capire cosa mai poteva essere. Spinto dalla curiosità, che si era fatta più forte della prudenza, e senza pensare ai gravi rischi che stavo correndo, mi avvicinai al pollaio. Per terra, vicino alla rete, una gallina morta. Provai ad annusarla ma udì una voce che mi fece drizzare il pelo: “Chi sei? Lascia stare la gallina! E’ una mia preda!” Cercai di mettere a fuoco per vedere meglio. “Volpe! Come ti permetti di annusare la mia preda? Ah! Me lo diceva sempre mio padre! Le volpi sono animali da evitare assolutamente! Arrivate sempre sul più bello e cercate di farci morire di fame perché ci rubate sempre tutto!” Era una faina. Non ne avevo mai vista una, ma per istinto sapevo che era un nemico, e così, anche se non ce l’avevo con lui dissi ringhiando al suo indirizzo: “Faina! Questo è il mio territorio di caccia! Sloggia immediatamente da qui altrimenti vengo dentro e…” “E… ci uccideranno tutti e due! Complimenti volpe! Non sei per niente furbo! Come fanno a dire che rappresentate l’astuzia? Ti spiego meglio… Se fai rumore uscirà il contadino e… PUM! Ci sparerà a vista!” Aveva ragione, ma cercavo comunque di non farglielo capire: “Si! Ma sei tu a fare rumore! E poi… vai via e lascia stare le mie prede nel mio territorio!” Quello si mise a ridere malignamente e disse con voce di canzonatura: “Quindi… questo sarebbe il tuo territorio? Ma dimmi amico volpe… sei sicuro che è proprio il tuo e non è di quello lì che sta dentro quella casa?” Ed indicò col musetto la finestra dell’abitazione. A quelle parole restai muto. Era vero! Quello non era il mio territorio, ma era il territorio dell’uomo. “Si faina! Non è il mio territorio lo ammetto! Ma l’uomo ha così tanta roba da mangiare in più che potrebbe sfamare una foresta! Io… io non trovo giusto che noi, poveri animali che siamo così affamati non abbiamo nulla ed invece quello lì tutto! Ti sembra giusto? Anche tu sei nella mia stessa condizione, altrimenti perché rubi anche tu al subdolo due zampe?” La faina annuendo disse con tristezza: “E’ proprio vero volpe! Sante parole! Anch’io ho fame cosa credi? Anche per me è difficile sopravvivere! L’uomo ha di più di quanto necessita per la sua sopravvivenza! Loro vivono e non sopravvivono! Ecco… ecco il motivo delle nostre ruberie! Sai che penso amico? Certe volte mi vengono in mente cose strane! A volte… a volte vorrei essere un uomo! Anche per poco tempo!” “Eeeh! Faina! Anch’io ho questo desiderio! Quante volte ci ho pensato! Tutte le notti! Purtroppo faina, siamo nati animali! Non si può essere quello che non si è! Comunque sarebbe bello! Sarebbe proprio bello! Mah! E’ solo utopia, faina! E’ solamente utopia!”

 

Nel buio di quella sera, non ci siamo minimamente resi conto di essere osservati. A distanza di pochi metri da noi, ci osservava nel silenzio un’altra creatura. Silenzioso, come se fosse stato sempre lì.  Un tasso. “E così le mie vecchie orecchie hanno sentito bene? Aah! Che errore state commettendo! La pagherete! Ma, vi rendete conto di cosa avete detto? Non sfidate troppo la sorte amici! Non so se siete ancora in tempo… L’uomo, dall’alba dei tempi, non ha fatto altro che sottomettere il mondo e con esso anche noi! Però… essi devono stare attenti a mille cose! Non è facile essere un umano! Sono creature strane! Non pensate che sia tutto oro quello che luccica! Di solito si hanno delle illusioni! Pensateci prima di dire certe cose! Potrebbero anche avverarsi!” Disse, e noi nel vederlo ci siamo messi a ridere. “Ma va là tasso!” Dissi: “Non vedi? Sei cieco per caso? Io sono una volpe, ho la coda! Non potrò mai trasmutarmi in qualcosa di diverso! E poi… io gli esseri umani li odio! Quando ero piccolo hanno tentato di distruggermi! Mia madre l’ho persa grazie a loro!” Ma quello con la filosofia e la saggezza di chi la sa lunga, disse senza scomporsi: “Chi disprezza vuol comprare, dice un detto degli uomini! Amico volpe! Questo è solo un avvertimento!” “Tu osi avvertire noi? Ma dimmi! Chi te la dà tutta questa autorità tasso? E poi… noi abbiamo solo scherzato!” Disse di rimando la faina, ma il vecchio tasso, girandosi come per andare via disse: “Anch’io, non molto tempo fa ho scherzato come voi, ed un bel giorno, mi sono ritrovato… beh… Ma come ha detto la volpe, è solo utopia, solo utopia e niente più!”

 

Guardammo il tasso andarsene in silenzio. La nostra spavalderia era svanita nel nulla! Cosa lo aveva spinto a dire quelle parole? La faina uscì dal pollaio senza prendere nessuna gallina. Sembrava sconvolta. Anch’io lo ero. Le parole del tasso ci rimbalzavano nella mente come palline da ping pong. “Sai… all’improvviso non ho più molta fame volpe!” Disse la faina: “Credo che lascerò a te la gallina che ho catturato! Senti… mi dovresti fare un favore! Visto che… sto, per questa notte cercando… diciamo così… una tana, mi potresti ospitare nella tua? So che voi volpi certe volte fate di questi favori… domani me ne cercherò una tutta mia…” Guardai quella creatura negli occhi. Forse, in altre occasioni non avrei mai acconsentito ad una faina di entrare nella mia tana, ma quella sera… quella sera tutto era diverso. Aveva la paura stampata sul muso! Potevo anche vedere un tremore nelle sue zampe! Anch’io non ero da meno! Barcollavo ed avevo bisogno di compagnia contrariamente alla mia natura da volpe che prediligeva la solitudine! Era una sera troppo strana! Così, accettai la proposta e girando per entrare nel pollaio, presi la gallina che giaceva sul terreno dicendo: “Solo per questa notte faina… va bene! Puoi venire con me!”

Per tutto il tragitto non parlammo di nulla. Non per il motivo dettato dalla natura che ci imponeva di essere nemici, no! Ma perché il tasso con la sua profezia ci aveva turbato profondamente. Sapevo che i tassi erano creature sagge, ma quello sembrava aver provato sulla sua pelle qualcosa che nemmeno riuscivamo ad immaginare, e così ci trovavamo, tremanti di paura a camminare senza accorgerci della nostra differenza di specie.  

Arrivammo nella mia tana. Ci guardammo un po’ in giro e poi io decisi di chiudere l’entrata con foglie secche. In silenzio consumammo senza alcuna voglia la gallina. Come preso da un tumulto improvviso, guardai il mio ospite e dissi: “E se, quello che ha detto il tasso fosse vero? E se, davvero noi…” La faina, guardandomi con terrore disse: “Utopia volpe! E’ solo utopia!” Non ottenendo una risposta rassicurante, chiusi gli occhi per dormire e così fece anche la faina.

 

Non so proprio cosa sia successo! Quella notte non sono riuscito a riposare bene. Mi sentivo molto strano; pensai fosse la gallina che non avevo digerito bene, ma, dovetti accorgermi che non era così.

Mi agitavo in continuazione e facevo sogni brevi ma intensi. Sognai di essere a caccia e di incontrare mia madre, ma ad un tratto sentivo la voce di quel tasso e subito dopo degli spari. Erano veri e propri incubi come quelli che si fanno quando si ha la febbre, ma io di febbre non ne avevo.  

Una luce, dopo molte ore, mi abbagliò. Ancora mezzo assonnato non pensai che quel chiarore nella tana non avrebbe dovuto esserci per via delle foglie all’entrata ed anche perché, quel rifugio non era mai stato, di mattina, colpito dalla luce diretta del sole. Provai a stiracchiarmi ma mi accorsi di non poterlo fare bene! Aprì gli occhi. La tana era magicamente scomparsa. Fra molti pensieri mi guardai intorno. Quello che vidi mi lasciò sconvolto e terrorizzato. Vidi dormire, vicino a me un altro essere. Dall’aspetto riconobbi subito l’animale che da quando ero nato, aveva sempre cercato di uccidermi. Era un uomo! La paura mi fece scattare per correre via, ma nel farlo sono caduto. Provai allora a rialzarmi e m’accorsi di stare in piedi. Non ero, evidentemente più una volpe. Mi guardai il corpo e rabbrividì. Guardandomi, allora in giro con molta paura e terrore notai che mi trovavo in uno strano ambiente. Era una stanza con dei muri bianchi, una finestra che faceva entrare proprio i raggi del sole che m’avevano svegliato, due letti ed una porta chiusa. Uno di quei letti era occupato dall’altro essere umano e l’altro, vicino a me era vuoto. Era evidente che sopra di esso ci fossi stato io. Mi misi a mugugnare. Ero da solo con un ‘ vero uomo ‘ che avrebbe senza indugio potuto farmi del male, ma poi, rendendomi conto della realtà nella sua completezza, capii che quell’uomo non avrebbe potuto farmi nulla! Infondo anch’io ero diventato un due zampe. Conclusi che la profezia del tasso si era avverata.

L’altro si svegliò e vedendomi ebbe paura. Vidi il suo sguardo. Si! Me lo ricordavo! Era la faina! Aveva gli stessi occhi spaventati! Provai a comunicare, ma invece del mio solito guaiolare, capii di stare parlando all’uso umano; dissi: “Non ti voglio fare del male! Sono la volpe! Non so cosa ci sia successo!” Quello, sentendo e, soprattutto capendo disse: “Cosa dici? Come può essere? Tu sei un umano! Io… io… come faccio a capirti? Sono una faina!” Era proprio come avevo sospettato! Eravamo veramente stati trasformati in uomini. La faina continuava nel suo delirante monologo dicendo: “Non è possibile! Non ti avvicinare! Io sono una faina! Sono una faina…” Mi avvicinai a lui, e prendendogli la mano e facendogliela vedere gli dissi con voce rassegnata: “Non più amico mio! Non più!”

 

Siamo stati a guardarci per un po’ senza parlare ma con le lacrime agli occhi. Ci abbracciavamo come due naufraghi su un isola deserta. Ci sentivamo confusi e indifesi. Pensavamo che gli esseri umani non provassero mai paura, ed invece, eravamo un fascio di nervi.

Dopo un po’, dietro quella porta chiusa, abbiamo sentito dei passi veloci. Era evidente che qualcuno stava per entrare nella ‘ nostra ‘ stanza. La porta si aprì ed entrò velocemente un uomo vestito interamente di bianco, e, sorridendo con molta ironia e felicità ci disse: “Buongiorno! Benvenuti nel regno dell’animale uomo! Io sono un cavallo e vi porgo anche i saluti del tasso che avete sicuramente incontrato ieri! Il vostro desiderio si è avverato! Per due giorni sarete uomini e vivrete come loro. Non sarà affatto facile! Adesso, visto che siete umani, dovete vestirvi!” E ci diede tutto l’occorrente. A me toccò un vestito con una maglia rossa, mentre alla faina ne toccò una marroncina. Il cavallo, dopo esserci vestiti disse: “Nella trasformazione in due zampe avete acquisito le capacità innate degli esseri umani, ma anche i loro difetti! Il tasso è stato già qui quattro giorni fa, e come voi ha espresso l’insano desiderio di essere un uomo. Ha, come me, dovuto affrontare molte prove! Purtroppo anch’io ho voluto provarci! E ci è mancato un pelo per… ma, per fortuna, ringraziando Phegeus ora è finita! Se lo avessi saputo prima quanto era facile! Bastava dare delle carezze, altro che frustate! Ah! Dimenticavo… nelle vostre tasche ci sono dei soldi che vi basteranno solo per oggi! Con i soldi, gli uomini comprano da mangiare! Non commettete errori! Questo è un consiglio… non vorrete restare così spero? Adesso devo lasciarvi! Ritornerò ad essere un cavallo! Il tasso mi ha dato quest’ultimo incarico da uomo! Dopodomani, a quest’ora, se ci riuscirete, verrete di nuovo in questa stanza ad accogliere come ho fatto io con voi, gli altri che hanno, come noi, avuto questo desiderio idiota! Solo allora, uscendo da qui, ritornerete ad essere animali come prima! Quindi… buona fortuna! Ne avrete bisogno!” E, con uno strano sorrisino corse via dalla porta lasciandoci soli. Sentimmo quasi immediatamente come degli zoccoli ed un nitrito. Ci affacciammo da quella finestra e abbiamo visto con stupore, un cavallo bianco correre via, nitrendo per la gioia.

“Dunque…” Disse la faina: “E’ questo che accade agli animali che dicono di voler diventare esseri umani?” Io annuì e dissi al mio compagno di sventura: “L’abbiamo voluto noi, ed adesso la paghiamo! Forse… è stupido voler essere diversi da quello che si è! Che te ne pare amico faina?” “Hai perfettamente ragione amico volpe! E’ una cosa davvero stupida! Ma… sai cosa ti dico? A me è venuta fame!” Anch’io ne avevo, e quindi, per fame, cominciammo l’avventura più intensa della nostra vita, aprendo la porta da dove era uscito il cavallo che doveva portarci nel mondo degli esseri umani.

 

Eravamo finalmente fuori dalla stanza! Ma un timore ci prese violento. Cosa avremmo dovuto affrontare, quali sfide e quali imminenti pericoli? Non eravamo certo in una situazione facile a gestirsi, infondo, avevamo sempre vissuto da animali. Notammo, solo dopo aver fatto qualche passo, che sopra la porta c’era attaccato un bigliettino. La faina lo prese ed incominciò a compitare il messaggio. “Ah! Qui c’è scritto che dobbiamo, per mangiare e per conoscere la nostra guida, andare avanti per questa strada e voltare a destra! La, almeno come dice il biglietto, troveremo un ristorante! Volpe! Sai per caso cos’è questa altra diavoleria? Cos’è un ristorante?” Lo guardai intensamente innervosito. La faina non si rendeva conto che eravamo tutti e due nelle stesse condizioni e dissi: “No amico! Non lo so! Come non so nulla nemmeno del perché ci siamo cacciati in questa avventura! Ma… se rimaniamo qui so che moriremo di fame, quindi andiamo! Seguimi! Ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare!” Quello mi guardò storto e mi disse con voce piagnucolosa: “Eh si! Certo! Dovrei seguirti… Ah! Se ieri sera non fossi stato così stupido a cacciare in quel maledetto pollaio, a quest’ora non mi troverei ridotto così e soprattutto non mi troverei a seguire una volpe che non ha nemmeno la più pallida idea su come…” “SE NON VUOI MORIRE MI DEVI SEGUIRE! Si! Sono una volpe, anzi lo ero! Non so nemmeno se riuscirò un’altra volta a vedere la mia stupenda coda, però di una cosa sono certo! Se non mi segui non riusciremo a cavarcela! Purtroppo abbiamo sbagliato a voler diventare come i nostri nemici!” Quello, pentito dello scatto di disperazione, si scusò e mi seguì.

Più avanti, uscendo fuori da un portone aperto, dove avevamo visto galoppare via il cavallo, c’era una strada trafficata da automobili che andavano e venivano. Attraversarla sarebbe stato molto pericoloso ma non avevamo alternative. Arrivati al suo margine, vedemmo che un cane che aveva avuto l’idea di attraversarla era stato investito ed era morto. Quello spettacolo terrificante ci fece riflettere. La faina mi fece notare che altri esseri umani non attraversavano a caso. “Volpe! Guarda! Quei due zampe attraversano su quelle righe zebrate a terra! Forse… sarà il caso di fare lo stesso? Non voglio fare la fine del cane!” Giudicai l’idea buona e ci avvicinammo a quegli uomini. Stavamo quasi per passare per andare dall’altro lato della strada, quando una persona ci fermò dicendo che dovevamo aspettare il verde. Ci guardammo in faccia. Cosa mai poteva significare verde? Girai lo sguardo e notai, su un palo un coso con una luce rossa che poi si fece verde. “Passiamo!” Dissi, ed in coda come tutti gli altri passammo indenni dalla minaccia della strada. Avevamo imparato una lezione importante. Dovevamo, per attraversare seguire sempre le strisce e guardare una luce che da rossa doveva diventare verde. Quella era la prima prova che superammo. Voltammo l’angolo ed il ristorante era li a due passi.

 

Con l’acquolina in bocca e mezzi morti dalla paura entrammo in quel locale. Notammo subito l’odore di cibo. Molti tavolini erano sistemati su diverse file. La fame era tanto forte che ci avvicinammo ad uno di quei tavoli già occupato da un umano e ci scagliammo per prendere con le mani quello che aveva nel piatto. “Ehi! Ma cosa fate? Aiuto! Aiuto! Cameriera!” La faina disse all’uomo: “Come? Cosa facciamo? Abbiamo fame e mangiamo! Non è questo il posto dove voi umani mangiate?” Quello si mise a gridare ancora di più, e venne così una donna di circa dieci anni più vecchia di me, che ci guardò triste dicendo: “Cominciamo proprio male! Non potete prendere il cibo così! Dovete sedervi ad un posto libero ed ordinare! Il cavallo non v’ha detto niente? Non siete più animali! Dovete abituarvi a questa dura realtà… ormai…” Come faceva quella donna a sapere della nostra disavventura?

 

Ci sistemò in un tavolo appartato in un'altra stanza e si sedette insieme a noi. “Cari volpe e faina! Vi ho riconosciuto dai colori del vostro vestito! Eccomi! Io sarò la vostra guida in questi due giorni! Anch’io, tanto tempo fa ero una volpe! La mia condanna è di restare una umana per guidare in questa prova gli altri animali che come voi, e come me hanno avuto l’infelice idea di provare a diventare umani! Altri animali, come me, come presto v’accorgerete, non hanno superato la prova ed ora sono condannati all’umanità forzata! Altri, sono morti nel solo tentativo d’attraversare quella dannata strada! Scusate se ve lo dico, ma non siete stati, d’altronde come me, molto intelligenti a voler essere degli umani! Gli uomini sono esseri complicati! Ve ne accorgerete! Bene! Basta con le presentazioni! Cosa volete mangiare?” Io e la faina, dopo aver guardato quella poveretta con dispiacere ed anche impauriti per quello che dovevamo passare ed ancora di più con il terrore di restare per sempre degli uomini, abbiamo detto che una gallina viva era quello che ci voleva, ma la cameriera volpe disse: “Beh… di galline vive non ne abbiamo… Ecco! Gli uomini non mangiano di queste cose! Ma vedo se posso accontentarvi in un modo diverso! Già… molto diverso…” E si mise a ridere mentre noi ci guardammo in faccia, ma notammo che rideva per non piangere.

 

Ci portò, dopo un po’ di tempo, non la gallina che avevamo chiesto, ma una bistecca di carne e dei curiosi strumenti. “No!” Dissi: “Hai sbagliato! Noi avevamo chiesto una gallina anche morta e non questa cosa, e poi… cosa sono questi arnesi, e per bere? Cosa dobbiamo fare? Dov’è un ruscelletto?” La cameriera volpe, ci guardò con dolcezza ed infinito dolore e disse: “Niente ruscelli per bere! Solo bicchieri! Gli esseri umani non vogliono mangiare cibi che non siano stati cucinati e cotti al fuoco! Ho dovuto abituarmi a questi usi complicati e pericolosi! A me fa molta paura il fuoco sapete, ma ho dovuto, per non morire di fame, anche imparare ad accenderlo! Questa è la carne che gli esseri umani mangiano e quegli arnesi sono posate! Io, per imparare ad usarle…” La poveretta si mise a piangere come una disperata, ma si riprese subito e continuò: “Scusate… Vi stavo dicendo che per usare le posate ho dovuto fare molte prove! Non si può, da uomini, usare le zampe… pardon… le mani ed i denti come facevamo da animali! Me lo hanno fatto notare dal primo giorno! Mi hanno derisa e chiamata selvaggia, solo perché mi avevano vista mangiare con le mani! Ma… capitemi… avevo intenzione di spiegare che non ero una umana ma una volpe, ma vedendomi presa in giro, capii che non avrebbero mai compreso! Non potevo dire la verità su di me! Non mi avrebbero creduta, e così, consiglio anche a voi di non dire nulla!” Io e la faina avevamo compreso la situazione. Era chiaro! Lo scopo di quell’esperienza era quello di farci solo soffrire. Presi una decisione: “Va bene volpe femmina! Se dobbiamo riuscire nell’impresa perché ne va della nostra vita, allora tu ce la farai con noi! Ti faremo ritornare ad essere una volpe! E… visto che ci siamo… sarai anche la mia compagna!” Quella sorridendo disse: “Ti ringrazio volpe! Ma non posso essere la tua compagna! Sei molto giovane! Comunque, nessuno prima d’ora mi aveva detto da quando sono qui, parole tanto belle! Speriamo di ritornare al nostro stato naturale! Il cavallo ed il tasso ci sono riusciti… ma noi?” La faina, prendendo la parola disse: “Troveremo una via d’uscita, ma ora… visto che abbiamo fame spiegaci come mangiare con queste assurde regole di comportamento che solo gli uomini si potevano inventare!”

 

Mangiare è stato molto difficile! Non capivamo il perché di tante regole assurde e scomode. Infondo si trattava solo di nutrirsi e, da che mondo e mondo, nutrirsi era stato sempre semplice, ma, evidentemente per voi non lo è. Comunque, con l’aiuto della povera volpe femmina ci riuscimmo alla meglio. Notammo con molto, ma molto disappunto che il cibo cucinato non corrispondeva affatto a quello che pensavamo. In definitiva non ci piaceva e lo abbiamo detto, ma quella con molta pazienza e tristezza ci disse: “Sono d’accordo con voi, ma esiste un detto degli esseri umani, un detto terribile che dice: o ti mangi questa minestra o ti butti giù dalla finestra!” Non abbiamo più detto nulla! E cosa mai avremmo potuto dire? Avevamo solo voglia di piangere.

Restammo in quel ristorante fino a pomeriggio inoltrato. Spendemmo anche dei soldi per pagare. La volpe femmina ci disse che in quel luogo venivano a mangiare, oltre ad esseri umani veri, anche degli animali che come noi erano rimasti uomini ed intrappolati in quel corpo da anni. Ci disse anche che quelli, andavano in quel ristorante perché era l’unico posto dove poter parlare di animali e dell’esperienza che avevano avuto senza rischiare la presa in giro oppure sembrare agli occhi dei veri uomini dei pazzi furiosi. “Purtroppo anche mio padre è stato qui, e qui vi è morto!” Ci disse un povero corvo: “Ha desiderato avere quello che hanno gli esseri umani, ed invece… hanno preso lui! Non è come abbiamo sempre pensato! Assolutamente no! Gli esseri umani non hanno tutto quello che vogliono! Ho capito… ho capito solo da quando sono qui, che loro hanno più difficoltà di noi a procurarsi ciò che gli serve! L’ho capito solo dopo cinque anni da quella maledetta sera in cui ho desiderato… Cosa ho fatto? Come ho potuto pensare di poter avere due braccia e due gambe! Ho commesso lo stesso errore di mio padre! MI MANCANO LE ALI! Vorrei volare via… ma non posso!” E si mise a piangere disperatamente, tanto che dovette correre via. Faceva pena.

Era una cosa assurda! Noi, che pensavamo di essere stati gli unici ad incappare in una tale situazione, invece, ci siamo dovuti rendere conto del contrario! Era un vero e proprio anatema! Nessun animale con il quale abbiamo parlato aveva avuto fortuna.

La faina, dopo aver parlato con un piccolo scoiattolo che non aveva mai conosciuto i boschi in quanto era nato da uno scoiattolo e da una scoiattolina che avevano avuto il nostro medesimo destino, decise di reagire. Decise di capire il perché di una simile catastrofe, e così, chiese alla femmina di volpe, cosa mai potevamo fare per uscirne indenni. Decidemmo di saperne di più. Ci eravamo stancati di sentire tutte quelle disgrazie e di sentirci dire quello che dovevamo fare. Non era nel nostro istinto! Non potevamo rimanere in quelle condizioni pietose! Dovevamo riprenderci quello che era nostro per diritto, a tutti i costi. Con la femmina di volpe, che aveva deciso anche se doveva solo darci le prime spiegazioni, di seguirci, andammo via da quel locale che sembrava essere il ritrovo di tutti gli animali più sfortunati del mondo, ed andammo verso la strada che ci aveva condotto in quel tetro posto.

Non sapevamo dove andare e quale strada percorrere, e quindi scegliemmo una stradina che conduceva verso una piccola collina immersa nel verde.

Arrivammo stanchi morti. Da quell’altura vedemmo in lontananza una città, ed in comune accordo ci siamo diretti, dopo esserci riposati, verso quell’ammasso di muri e di strade asfaltate e rumorose. “Sicuramente esisterà un posto dove informarci su come poterci di nuovo trasformare in animali!” Dissi alla faina al colmo della rabbia, e quello disse “Si… ma cerca di non arrabbiarti! Secondo me, prima dobbiamo fare in modo di capire l’animale uomo e le sue abitudini! Solo così possiamo raggiungere il nostro obiettivo! Non ti sembra, amico volpe?” Annuì mentre la femmina di volpe ci guardava tutta ammirata. Probabilmente eravamo i primi animali ad aver avuto quella idea, ma m’accorsi che guardava soprattutto me.

 

In quale posto potevamo trovare le nostre risposte? Questo non lo sapevamo. La faina, dopo un lungo meditare, si ricordò del piccolo scoiattolo sfortunato con il quale aveva parlato al ristorante. “Volpi! Forse un modo per conoscere l’uomo e le sue stravaganze c’è! Lo scoiattolino mi ha detto che è stato costretto da alcuni uomini, ad abbandonare i suoi genitori solo di mattina, ma che poi il pomeriggio ritornava da loro! Ha parlato che l’hanno costretto ad andare in un posto dove c’erano tanti cuccioli d’uomo che, stando impalati su una sedia per ore ed ore imparano le cose più disparate sugli usi e costumi dei due zampe! Ha detto che si chiama ‘ scuola ‘! Forse, dobbiamo andarci anche noi! Infondo, in quel posto, possiamo avere tutte le risposte alle domande che fanno al caso nostro! Che ve ne pare?” Dissi : “Secondo me è un’ottima idea faina! Cerchiamo questa scuola ed andiamo!” La femmina di volpe, girandosi verso di me disse: “Vi accompagno io! Di solito, vado io a portare lo scoiattolino a scuola! So dov’è! Ma prima… voglio andare in quella casa la!” Ed indicò una vecchia costruzione in disuso. La faina guardando la femmina di volpe con aria interrogativa disse: “E perché dovremmo andare li dentro? Non mi sembra un posto molto accogliente!” Ma quella, affrettando il passo verso quella casa disse: “Sento che troveremo qualcosa…” Io e la faina ci guardammo per un po’, ma poi la seguimmo. Infondo lei ne sapeva molto più di noi, e poi, sentivo di fidarmi di lei incondizionatamente.

In quella strada buia e desolata si ergeva, dunque, quella vecchia costruzione che tutto sembrava essere tranne che confortevole. Fuori dalla porta notammo subito delle crepe sul muro. “C’è il rischio che ci cada addosso!” Disse la faina, ma la volpe femmina rispose: “Non credo che ci siano pericoli! E poi…” e si voltò verso di me: “c’è qui il mio piccolo amore a difendermi… non è vero?” La guardai con gioia ed amore. Quella creatura si affidava completamente a me, anche se come ho detto c’era qualcosa in lei che non sapevo cosa fosse, sentivo di averla già conosciuta! Dissi subito di si, ma la faina guardandoci in cagnesco borbottò qualcosa che non abbiamo compreso.

 

Mettemmo il piede all’interno della costruzione! Sembrava essere disabitata da tantissimo tempo; solo una lunga scala davanti a noi, e la faina, per paura disse: “Forse… amici… sarebbe meglio ritornare a cercare la scuola dello scoiattolo! Non mi sento affatto sicuro! E poi… chi ci penserà a difendere me?” E guardò sia me che la volpe femmina come se avesse voluto mangiarci, ma io, visto che avevo capito risposi: “Avanti faina! Ti difenderò io! Di cosa abbiamo paura? Infondo non ci può succedere nulla di più, di quello che ci è già capitato!” La faina mi guardò come per capire se dicevo sul serio oppure no, ma io, con la femmina di volpe dietro, incominciando a salire su quelle scale con passo veloce gli fugai ogni dubbio. Solo lei mi seguì senza obbiettare, anzi guardandomi con ammirazione.

Le scale scricchiolarono sotto il nostro peso e sembravano essere terribilmente instabili. “Sei sicuro amico volpe, che qui troveremo qualcosa? Credo che in questo posto, l’unica cosa che possiamo imparare e come romperci le ossa! Queste scale sono marce!” La volpe femmina si girò ringhiando verso la faina dicendo: “Se vuoi ritornare ad essere una faina abbi fiducia in lui! Lui è una volpe! Sa quello che fa!” Quello ridacchiando in modo isterico disse sottovoce: “Già! Avere fiducia di una volpe… Se non fosse venuto vicino a quel maledetto pollaio, se non ci fossimo mai incontrati, tutto questo non sarebbe successo! E’ per lui se sono capitato qui e sono diventato un uomo!” Avrei voluto rispondere ma non lo feci perché, un’altra voce sul pianerottolo dove eravamo diretti parlò e rimproverò al posto mio. “Faina! Non sei stato per caso tu ad esprimere per primo il desiderio? Sii più buono con i tuoi compagni di sventura! Ricordati che loro soffrono quanto te! Ricordati, anzi, ricordatevi che la conoscenza è la migliore arma per superare ogni difficoltà!” Sgranammo gli occhi dalla parte da dove era arrivata quella voce, ma non abbiamo visto nessuno. Solo la faina, salendo velocemente gli ultimi scalini disse, facendosi bianco in viso: “Quella voce… Io… quella voce la conosco! E’ la voce di quel tasso che abbiamo incontrato ieri! Dove sei? Fatti vedere se hai il coraggio!” Il tasso, lentamente uscì dall’ombra e si sistemò sul pianerottolo davanti a noi senza paura. Non era un essere umano come noi, era proprio un tasso! La sua immagine d’animale, e la sua vittoria su quel destino ci fece invidia. Lentamente riprese a parlare e ci disse: “Non dovete prendervela con me! Infondo siete stati voi a voler tutto questo! Ah! Se mi davate ascolto a tempo debito… Ma… ma ormai è tardi! Bisognava pensarci prima!” Spingendo la faina per arrivare al tasso dissi al suo indirizzo: “E’ vero tasso! Abbiamo commesso un grave errore! Ma, ora, visto che stiamo soffrendo e che abbiamo conosciuto altri infelici come noi, dicci come poter acquisire la conoscenza necessaria per non commetterlo più!” Il saggio tasso disse lentamente e senza perdere la calma: “Io, ormai sono fuori pericolo… ma se voi volete conoscere la strada, non dovete far altro che ritornare all’inizio di questa storia, ma in modo totalmente diverso! Non serve andare a scuola… seguite l’uomo e le sue debolezze! Cercate di non commettere i suoi errori! Ecco qual è la conoscenza di cui vi parlavo! Non vi posso aiutare! Per ognuno di noi, la via della conoscenza e della salvezza è diversa!” E correndo si dileguò, lasciandoci con dei dubbi insormontabili.

 

Dopo di quell’incontro, ci ritrovammo da soli in quel lugubre posto. L’insegnamento non era stato molto esplicito (almeno così ci sembrava). Cosa mai aveva voluto dire il vecchio e saggio nonché fortunato tasso con la sua seconda profezia? Cosa mai poteva significare : ritornare all’inizio della storia? Nessuno di noi aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Era assolutamente necessario sbrogliare quella matassa e capire l’arcano. “Forse… avremmo dovuto fare al tasso altre domande! Domande più intelligenti! Cosa ne dici volpe?” Disse la faina guardandomi con i suoi occhi terrorizzati. Non risposi, ma la femmina di volpe era pensierosa. Pensando alle ultime parole dell’anziano mustelide cercò di decifrare la logica di quel discorso, poi, guardandomi con i suoi occhi teneri e dolci mi disse: “Forse… dobbiamo rifare qualcosa… ma cosa? Bisogna ripetere qualche gesto o qualche atto! Non lo so, ma ho come l’impressione che il tasso ci ha voluto dire di ritornare nel luogo dove tutto è incominciato!” La faina, allora, con aria di voler sapere, le disse: “Forse è così, ma ancora non ci hai detto della tua storia! Noi, al ristorante ti abbiamo raccontato tutto! Se vuoi ricevere aiuto è necessario che tu ci dica tutto di te e della tua esperienza! Cosa hai fatto di grave per diventare una donna? E dove?” Quella si rattristò improvvisamente tanto che due lacrime cominciarono a spuntarle dagli occhi, e in quello stato cominciò a raccontare: “Se volete sapere di me e di quando sono diventata così e condannata ad essere un umana, allora dovrò soffrire di nuovo in modo lancinante, anche perché, il sol pensiero di quel triste giorno in quel posto maledetto è per me peggio della morte. Devo portarvi dove tutto mi è stato tolto e negato in modo crudele! Vedete… ho, quella notte, perso il mio unico cucciolo che avevo avuto. Non ci vorrei più ritornare! Andare lì di nuovo, per me, significa rivivere quel momento terribile! Significa piangere! Quando… quando si perde parte della tua vita per mano dell’uomo crudele, quando, per dare da mangiare al tuo unico bene, e per colpa tua, solo tua, viene ucciso solo perché imparasse prima del tempo a cacciare, quando invece avrebbe dovuto restare nella tana al sicuro a giocare, insomma a vivere, ti accorgi che la punizione che devi subire è necessaria! L’ho portato quella notte con me! L’ho esposto ai gravi pericoli! Aveva solo due mesi di vita! E’ stata tutta colpa mia! Lo uccisero sotto i miei occhi e per sfuggire all’uomo scappai via lasciandolo lì! Quando ritornai non c’era più! Allora, con il muso puntato verso quelle stelle che tutto avevano visto, espressi piangendo il maledetto desiderio di diventare una donna! Non capivo! Volevo diventare come gli assassini di mio figlio! Pensavo che se fossi stata al posto di quell’essere umano non avrei mai sparato su un cucciolo indifeso… Ma ora basta! Non voglio più soffrire! Vi accompagnerò se volete! Ora voglio solo dimenticare!” La strinsi a me sotto lo sguardo triste della faina, e le promisi che non l’avrei lasciata sola dicendole: “Non ti devi più preoccupare! Anch’io sono stato sul punto di morire da piccolo, proprio come il tuo cucciolo! Proprio a causa di un contadino ed il suo fucile! Feci finta di essere morto e mi salvai… forse il tuo piccolo potrebbe…” Lei, sentendosi stretta a quell’abbraccio e sentendo quelle parole ebbe come un brivido e mi guardò in un modo molto strano e disse “Potrebbe essere ancora vivo?”.

 

Uscimmo da quella casa e ci ritrovammo di nuovo in strada. Si era fatta sera e non avevamo alcuna intenzione di perdere del tempo prezioso. Ritornare in quella stanza bianca significava per noi rinchiuderci nel terribile destino. Infatti, la desolazione di trovarsi in quell’ambiente vuoto ci avrebbe fatto uscire di senno; quindi decidemmo in comune accordo di recarci nel posto dove la volpe femmina aveva perso il cucciolo. Uscimmo dalla città in fretta e ci siamo trovati in aperta campagna.

Ad un tratto, la faina, volle renderci partecipi del dramma che aveva passato diverso tempo prima. “Volpi! Adesso credo che sia giusto che anch’io vi racconti di me e di mio fratello! Circa due anni orsono, in quella dannata fattoria, dove ho conosciuto la volpe maschio qui presente, ho perso parte di me stesso! Già! Mio fratello, è stato catturato dagli esseri umani e ucciso! Era entrato in quel maledetto pollaio. Io restai fuori vicino allo steccato quando, un uomo entrò dentro e lo portò con se in quella orrenda casa. Ancora ricordo il suo pianto lancinante! Io riuscii a salvarmi solo perché non ero lì con lui! Ho dovuto dare la brutta notizia a mio padre che è morto di crepacuore! Sono rimasto solo!” Ci fu un abbraccio generale e le nostre lacrime si confusero insieme. “Ok! Adesso basta piangere e disperarsi! Dobbiamo proseguire! Dobbiamo andare dove tutto è cominciato per la volpe femmina! Dopo, andremo nel nostro pollaio!” Dissi riprendendomi.

 

La volpe femmina ci guidò lungo un sentiero in discesa che portava verso il bosco. Riconobbi subito quel luogo. Era dove ero nato e cresciuto. Ogni albero di quella foresta mi faceva ricordare qualcosa. Non dissi nulla, ma la faina esternò il suo pensiero, che era lo stesso del mio. “Oh! Mi ricordo di questo posto! Certo! Andando più avanti c’è la mia tana… almeno lo era un giorno fa…” La volpe femmina, guardandolo disse, indicando una direzione ben specifica: “E in quella direzione c’era la mia! Chissà chi ci abiterà adesso…”  Ebbi un tuffo al cuore, ma ancora una volta non dissi nulla. Sembrava tutto così strano e diverso, ora che non eravamo più animali! Era tutto più piccolo. Essere animali significa vedere tutto con occhi diversi. Gli alberi, l’erba verde, il cielo, erano tutti divenuti miseri e brutti visti con gli occhi umani, mentre, ricordavo benissimo che da volpe non c’era nulla di più bello.

La volpe femmina, dopo poco tempo disse: “Ecco! Quella è la strada che conduce al posto dove è accaduta la mia tragedia! Scusate se, appena giunti mi metterò a piangere! Già lo so!” La faina ed io le abbiamo detto di non temere. “Non ti preoccupare volpe!” Le dissi: “Né io e né la faina ti prenderemo in giro! Anche noi abbiamo sofferto! Ma… forse… hai sofferto più tu! Non ti preoccupare!” Quella, con gli occhi lucidi, ci fece segno di seguirla.

 

Erano molto fitti quegli alberi, ma lo stesso andammo avanti. C’era un non so che di famigliare in quel sentiero! Qualcosa che non riuscivo a capire. La faina guardandomi fisso, sempre con i suoi occhi terrorizzati disse: “Credo di essere già passato da qui! Ma… forse è solo una mia impressione!” Io lo guardai a mia volta e dissi: “Anche a me questo posto fa un certo effetto! Mi sembra di averlo già visto… in una vita precedente… si intende…” Quello, non convinto, emise un sordo brontolio ed intanto il suo sguardo era saltato da me alla volpe femmina che sembrava essere in uno stato di trance.

Attraversammo la foresta ed, in lontananza… “Siamo arrivati!” Disse la volpe femmina. Io e la faina restammo trasecolati. Quello era il posto dove tutto aveva avuto inizio.

 

Una casa, una rete metallica ed un pollaio. Osservai per bene quel luogo e poi, i miei occhi cercarono la volpe femmina che era in lacrime. La faina non osava dirci nulla, e incominciò a tremare ed a battere i denti. “Non è possibile! Non può essere questo il tuo posto, femmina!” Dissi, e quella, stupita dalla mia incredulità disse: “Come? Ma certo che questo è il posto giusto! E’ stato qui che ho perso mio figlio!” La faina disse: “Ed io… è qui che ho perso mio fratello!” Ed in fine io: “Ed io… qui ho perso mia madre!” Una voce completò l’opera dicendo: “Ed è qui che avete espresso l’insano desiderio…” Ci voltammo e abbiamo visto il tasso. “Non mi guardate così…” riprese: “Voi tre, avete sofferto nello stesso luogo! Ed è qui che dovete superare l’ultima prova! Vi accorgerete delle paure degli esseri umani, e anche dei loro errori! Se volete potete anche andare via… potete anche tornare domani per superare questo esame… ma… chissà… potete anche uscirne vincitori o vinti questa sera stessa… tentare non nuoce…” Provai a parlare, volevo chiedere spiegazioni, ma il tasso era scomparso. 

Restammo imbambolati senza capir nulla. Com’era possibile? Perché tutti e tre eravamo legati a quel posto? Perché affrontare l’ignoto per avere quello che avevamo perso e che comunque era nostro di diritto? Queste erano le domande che ora mi ponevo, ma la volpe femmina mi fugò ogni dubbio dicendo: “Senti volpe… tu… hai detto di essere quasi stato ucciso quando eri piccolo! Dimmi… dove?” Senza pensarci, indicai un angolo del pollaio, proprio vicino a dei sacchi di raccolta del fieno. Quella sbiancò di colpo, ed ad un tratto mi strinse a lei dicendo: “Anche mio figlio… anche lui è stato ucciso in quel posto!” La faina, capendo tutto disse: “Probabilmente proprio ucciso no!” Incominciai a capire anch’io. Mi sentivo strano! Avevo la gola asciutta e non osavo parlare. Se avessi aperto bocca, probabilmente, mi sarei messo a piangere a dirotto. Ma era il momento di capire! Era il momento di comprendere! Dissi solo: “Non sono più una volpe! Non posso fiutarti per riconoscerti… ma…” Lei, guardandomi bene disse: “Ad una madre non serve odorare per riconoscere suo figlio…”

 

Anche se la situazione era disperata, avevo trovato qualcosa di molto importante ed insperato. Ero felice! Forse… era più felice mia madre! Ci eravamo separati per colpa dell’uomo, ed invece eccola lì! Mia madre era lì con me! Certamente non ci saremmo più separati! Non potevamo! Eravamo legati dalla vita, e in modo subdolo anche dalla morte che mi aveva risparmiato. Staccandomi da quell’abbraccio fatto solo d’amore, amore vero, dissi riprendendomi e cercando di non far notare la mia commozione: “Ok! Adesso è arrivato il momento di avvicinarci di più al pollaio! E’ partito tutto da qui, ed è da qui che dobbiamo incominciare la prova!” Mia madre mi guardò ammirata, mentre la faina incominciava già ad avviarsi.

Avevo paura ad avvicinarmi a quel pollaio dove non si faceva altro che soffrire, e giurai a me stesso che se mai fossi ridiventato una volpe non mi sarei mai più avvicinato, ma sapevo che la soluzione dell’ingarbugliata faccenda poteva solo trovarsi in quel posto. Infatti, dissi ai miei due compagni che dovevamo entrare nel pollaio, ma questa volta aprendo la porticina.

 

Non ci eravamo accorti di nulla, ma, dentro, oltre le galline c’erano altre quattro creature. Appena ci videro entrare, si misero a ringhiare ed a fare versi minacciosi. Era chiaro che eravamo noi adesso ad essere una minaccia, ma non ne capimmo il motivo. Abbiamo avuto paura! Questo è certo! La faina terrorizzata  disse: “Oh Santo cielo! Ed adesso cosa succede? Chi c’è qua dentro? Cosa ci capiterà? Perché tutti questi versi? Volpi, andiamo via, prima che ci succeda qualcosa! Io… io sento di dover fuggire!” Anche io e mia madre avevamo paura. Nel buio non abbiamo potuto vedere cosa ci fosse in quel posto oltre le galline, ma c’era qualcosa in quei versi animaleschi… qualcosa che vagamente ricordavamo…

La faina, prese in un angolo del pollaio un bastone, ed io in quell’oscurità presi la prima cosa che mi capitò in mano. Un fucile. Non ne avevo mai toccato uno, ma lo stesso cominciai a puntarlo verso la fonte dei rumori. Mia madre dietro di me che osservava la scena turbata.

Avanzammo nel buio con il cuore in gola. Ormai dovevamo affrontare il nostro destino. Dovevamo difenderci da un qualcosa di sconosciuto.

Con fucile e bastone, ci avvicinammo sempre di più alla fonte della minaccia. Avevo il dito indice della mano destra pronto sul grilletto. Sapevo che molto probabilmente avrei dovuto sparare. Non pensavo, in quel momento, di comportarmi esattamente da umano. Dall’altro canto, la faina con il bastone in mano non era da meno. Mia madre era attaccata a me e non osava allontanarsi. Quei versi, ad ogni passo diventavano sempre più acuti e forti, e come se non bastasse, si accese la luce da una finestra della casa. Un uomo si era accorto dei rumori, e probabilmente stava per venire vicino al pollaio.

 

Eravamo al centro del pollaio fra le galline. Vidi delle creature muoversi nell’ombra. C’erano le nuvole a coprire la luna e così non riuscii a scorgerle bene. Quando… ad un tratto… le nuvole si allontanarono dal bianco pianeta, e vidi di fronte a noi due volpi e due faine. Riuscivo a vedere la loro temibile dentatura e le gole di quegli animali tese in atto di ringhiare. Ebbi molta paura! Potevano attaccare da un momento all’altro, ma le puntavo con il fucile. Quell’arnese mi dava una certa spavalderia e sicurezza.

 

D’improvviso dalla porta della casa, uscì un uomo, armato anch’esso di fucile spianato che, subito si diresse nel pollaio gridando: “Ah! Ladri! Mi rubate le galline! Ve la farò pagare! Altro che faine e volpi … sono gli esseri umani a rubare! Io l’ho sempre detto! Ah! Destino infame… destino che mi hai portato a difendermi come i miei nemici!” Erano parole molto strane, ma non ci abbiamo fatto caso. La faina, si voltò con il bastone in mano verso quell’uomo, mentre quelle bestie erano lì, pronte ad attaccare. Vidi le zampe degli animali tese e pronte a saltarmi addosso.

 

Era una situazione molto particolare. Io con il fucile in mano nell’atto di uccidere due volpi e due faine, creature che non avrei mai dovuto toccare, e la faina, pronto a colpire un uomo con un bastone mentre quello gli puntava addosso un fucile.

Si levò un vento gelido. Una volpe, che riconobbi essere un maschio, in compagnia di una femmina che sembrava essere più anziana e due faine maschi della apparente stessa età, mi stavano per saltare addosso, ed io, avevo già preso la mira nel petto dell’animale ed avevo già premuto il grilletto per metà, quando udì delle parole ed un urlo dietro le mie spalle. “Sapevo che prima o poi avrei ucciso un essere umano! Ah! Se lo avessi saputo prima! Non avrei mai espresso quel desiderio! Chissà mio fratello… Che fine avrà fatto? E mio padre… che dolore! Ma ora basta! Stai rubando il mio cibo, guadagnato con fatica ed umiliazioni da parte degli esseri umani! Sono una faina! E come le faine difendo il mio territorio! Devo fartela pagare… vile essere umano! Una faina, uccide un uomo per disperazione e per aver perduto per sempre la sua forma originale!” La faina,  abbassando il bastone, con gli occhi stupiti ed impauriti gridò: “Ah! No! Non è possibile! Tu… Tu… ma come? Non eri morto? Oh! Fratello! Fratello mio!!” Mi girai a guardare e vidi che la faina e quell’uomo si assomigliavano. Erano come due gocce d’acqua. Era chiaro che fossero gemelli.

 

In quel trambusto generale, le due volpi e le due faine scapparono, ma lo fecero in un modo strano, scomparendo in una luce abbagliante.

Abbassai il fucile, e mi avvicinai, in compagnia di mia madre alla faina ed a quell’uomo. Inutile dire che la faina cominciò subito a raccontare della nostra esperienza, mentre suo fratello ascoltava con le lacrime agli occhi. “Già!” Disse quello: “Adesso capisco tutto! Anche voi avete avuto il mio stesso fato!” Guardai negli occhi quell’uomo e vi notai lo stesso sguardo impaurito della faina. Compresi allora tutto. La faina aveva ritrovato suo fratello. Egli ci raccontò che dopo essere stato catturato, si era addormentato in una gabbia preparata da quell’essere umano che lo aveva preso, esprimendo il desiderio di essere un uomo, ma che poi si era svegliato in una casa dai muri bianchi, e da lì aveva superato ogni sorta di difficoltà che sono iniziate dall’attraversamento di una strada. Mia madre si ricordò di lui e ci raccontò che l’aveva incontrato per la prima volta due anni prima. Da allora, era vissuto lavorando e soffrendo a causa degli ingiusti insulti dei veri esseri umani, che al suo racconto avevano sempre riso ma mai compreso. Era entrato in quella casa per superare la prova e li, visto che non aveva trovato nessuno, si era sistemato ed ora ci viveva non sperando più in un miracolo.

 

Ci siamo avviati allora verso quella casa. Il fratello della faina ci aveva invitato ad entrare ed ad dormire con lui. La faina era al settimo cielo per la contentezza e non la smetteva più di abbracciare colui che credeva perso. Eravamo seduti intorno ad un tavolo, quando la faina disse a suo fratello: “Sai… nostro padre è morto! Ho dato io la notizia della tua scomparsa! Il suo vecchio cuore, già parecchio provato dalla vita non ha retto!” Quello si mise a piangere ed a gridare, tanto forte che, sia io che mia madre fummo costretti ad alzarci perché altrimenti ci saremmo messi a piangere anche noi!

Grattarono alla porta. Io sentii ed andai a vedere chi era stato. Aprendo l’uscio vidi il tasso che entrò in casa avvicinandosi alle due faine intente a piangere. “Su! Via! Perché piangete?” Disse con voce allegra, la faina disse: “Tasso! Ho appena dato notizia a mio fratello della morte di nostro padre! Va via! Va via… ti prego…” Il vecchio mustelide, invece di andarsene disse: “Già! Vostro padre è morto… voi credete che sia così? Invece, vi dico che è nella tana ad aspettarvi!” Poi voltandosi anche con me e mia madre disse: “Avete superato tutti la vostra prova! Tutto questo è come se non fosse mai successo! Adesso vi addormenterete e vi risveglierete da animali! Questo pollaio e questa casa, erano la fonte delle vostre paure ed indecisioni! Siete stati quasi sul punto di uccidere voi stessi… eravate arrivati quasi ad un baratro enorme e ci stavate cadendo dentro… vi stavate comportando come gli esseri umani veri,  ma… avete capito! Vi auguro tanta felicità… Avete vinto! Non vi preoccupate… nessun’altro animale patirà più queste pene! Tutto si è sistemato grazie a voi! Non uccidendo le vostre ombre, avete liberato gli animali dall’anatema che era stato fatto da quando un animale, molti secoli fa, ha dichiarato di voler essere qualcosa di diverso! Era l’utopia! Ma ora basta! Molti altri hanno superato la prova, ma voi avete liberato il mondo da questa maledizione! Grazie! Grazie a nome di tutti gli animali! Non accadrà mai più nulla!”

 

Quello che accadde dopo fu stranissimo. Ci addormentammo di colpo.

 

Dopo aver fatto un sonno profondo e ristoratore, aprii gli occhi. Era buio. Mi resi conto di trovarmi in un posto diverso da quella casa. Ero appoggiato con la testa al terreno e vicino a me qualcosa di soffice e caldo. Notai subito, sforzando la vista che si trattava di pelo. D’istinto mi girai e vidi dormire profondamente davanti a me una volpe. La odorai. Era mia madre! Mi rizzai in piedi e quella si svegliò, e vedendomi le scesero le lacrime dal muso. Ci coccolammo molto! I nostri corpi da volpe si sfioravano come in una danza.

Ci siamo resi conto di non essere soli. Nella tana c’erano due faine ad osservarci timidamente con degli occhi pieni di felicità e di gioia. Eravamo di nuovo animali.

 

Sentimmo l’erba all’entrata della tana smuoversi. Uscimmo tutti. Un sole incredibile splendeva sui nostri corpi. Mettendo bene a fuoco, abbiamo visto che a smuovere le foglie davanti alla tana era stato un tasso! Già! Il vecchio tasso che ci aveva guidato nella nostra avventura. Con lui, una vecchia faina. Capimmo che era il padre delle due faine. Quelle nel vederlo, gli balzarono incontro facendo molta confusione e giocando come dei cuccioli. Erano di nuovo insieme.

 

Il tasso, senza dire nulla si allontanò e non lo abbiamo mai più visto.

Io e mia madre, andammo spessissimo a trovare le faine, ripercorrendo col pensiero tutto quello che avevamo fatto, ed abbiamo giurato di non commettere mai più l’errore di voler essere diversi, in quanto essere quello che si è, è un dono, e come tale deve essere vissuto nel migliore dei modi.

 

 

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